La comunità gay si infiamma per alcune affermazioni dello psichiatra e criminologo Francesco Bruno che aveva rilasciato un’intervista sul blog di Pontiflex, punto di ritrovo del mondo cattolico.
In tutta onestà, leggendo anche la replica alle polemiche rilasciata in un’intervista successiva , pur NON condividendo le posizioni di Francesco Bruno, debbo riconoscere che le critiche sollevate mi sembrano abbastanza esagerate. Credo che, almeno su alcuni punti, ci sarebbe da fare qualche riflessione di approfondimento.
Il medico e docente universitario, spesso ospite di salotti televisivi, ha sostenuto, e ribadito nella seconda intervista, il suo punto di vista che può essere sintetizzato nei seguenti punti:
- L’omosessualità sarebbe uno stato di “anormalità” e deriverebbe da un disturbo di personalità legato, probabilmente, ad una errata assimilazione dei ruoli genitoriali o a cause organiche “che sarebbe complicatissimo spiegare” (???).
- Disaccordo con l’OMS per aver derubricato l’omosessualità dalle malattie.
- I genitori di persone omosessuali restano traumatizzati dall’orientamento sessuale dei figli.
Non condivido, come precisato, tali punti di vista; tuttavia va precisato che se per “anormalità” si intende una deviazione dalla norma statistica, come Bruno ha specificato, non credo che ci siano motivi di indignazione sufficienti da parte della comunità gay. Del resto anche i pittori, gli scrittori, i premi Nobel … hanno qualità che si discostano dalla norma statistica. Possiamo, quindi, anche in questi casi parlare di “anormalità”. Quello su cui mi piacerebbe, invece, un po’ più di chiarezza sono le cause organiche “che sarebbe complicatissimo spiegare”. Non mi risulta che al momento ci siano prove scientifiche a favore della visione organicista o cromosomica dell’omosessualità.
Sul fatto di non avallare la decisione dell’OMS di eliminare l’omosessualità dalle malattie internazionali (decisione presa circa vent’anni fa!) lascio ad ognuno la libertà di pensare quanto crede; tuttavia non posso fare a meno di notare una certa contraddizione in termini quando, nella seconda intervista, lo psichiatra precisa che continua ad avere le sue riserve al riguardo. Avere delle riserve su tale questione equivale a dire che l’omosessualità dovrebbe, invece, essere ancora considerata una malattia; ma se Bruno la intende così come può affermare solo qualche riga prima: “Io […] non ho mai parlato di malattia per i gay”?
Sui genitori di gay e lesbiche non posso che condividere il punto di vista di Francesco Bruno. Sono certo che nella maggioranza dei casi, ancor oggi, scoprire di avere un figlio o una figlia omosessuale genera un trauma nei genitori. Spesso c’è un vissuto di inadeguatezza del ruolo genitoriale ricoperto, spesso sopraggiunge un senso di colpa per aver “generato” un figlio con un diverso orientamento, altre volte c’è la difficoltà a confrontarsi con i tabù dell’ambiente sociale di appartenenza, talvolta c’è un rifiuto anche violento nell’accettazione di una condizione che non viene apertamente accettata e condivisa da tutti. E’ senza dubbio un trauma che può essere elaborato e superato; tuttavia è un aspetto che non può essere ignorato.
Del resto se un “addetto ai lavori” come il professor Bruno non si preoccupa di dichiarare che “un’eccessiva tolleranza verso stati di anormalità, e l'omosessualità tale va considerata, ci porta alla conclusione che la gente si confonda e non capisca più cosa è il bene e che cosa è il male”, non c’è da sorprendersi se l’accettazione di un figlio omosessuale sia un passaggio molto difficile e delicato, soprattutto laddove il sentimento comune è impregnato da falsi stereotipi culturali e sociali.
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